Il green light del Parlamento europeo all’Artificial Intelligence Act: cosa cambia per il diritto d’autore

Vincenzo Iaia

Con 523 voti favorevoli, 46 contrari e 49 astenuti, il 13 marzo scorso il Parlamento europeo ha approvato la proposta di regolamento in materia di intelligenza artificiale (cd. “Artificial Intelligence Act” o “AI Act”).


Il primario obiettivo dell’iniziativa legislativa avviata dalla Commissione europea è quello di garantire che la diffusione e l’uso dei sistemi di intelligenza artificiale rispettino i diritti fondamentali, la democrazia, lo Stato di diritto e la sostenibilità ambientale. La compliance rispetto all’insieme di valori e diritti summenzionati passa attraverso la catalogazione dei sistemi di intelligenza artificiale in relazione ai rischi prospettici e alla corrispondente imposizione di obblighi graduati.  


La versione originaria dell’AI Act non contemplava previsioni in materia di diritto d’autore. Il dilagante affermarsi dei servizi di intelligenza artificiale cd. generativi (es. ChatGPT, Midjourney, Bard) unitamente alla moltitudine di controversie avviate dai titolari dei diritti d’autore nei confronti dei fornitori di tali servizi sembra aver sollecitato il legislatore europeo ad includere delle disposizioni idonee ad intercettare e – forse ambiziosamente – risolvere tale tensione.


Nella versione licenziata dai deputati europei, l’art. 53 dell’AI Act introduce degli obblighi specifici per i fornitori di modelli di AI per finalità generali (“General Purpose AI Model” o “GPAI”), tra cui quello di istituire un meccanismo di compliance al diritto d’autore europeo, con particolare riferimento all’art. 4.3 della direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale (direttiva 790/2019/UE). Invero, tale norma legittima i titolari dei diritti d’autore ad esprimere il dissenso (cd. opt-out) a che le proprie opere dell’ingegno siano oggetto di estrazione di testo e di dati per finalità commerciali. L’unica condizione per l’operabilità di tale meccanismo è che il dissenso sia manifestato attraverso strumenti di lettura automatizzata. Ad oggi, servizi come Spawning AI, offrono la possibilità di rendere leggibile la volontà dell’autore agli algoritmi volti all’estrazione di testo e di dati, i cd. crawler. Tuttavia, l’effettiva efficacia e rispetto di tali strumenti deve essere ancora testata presso le corti.


A tal proposito, l’art. 53, par. 1, lett. d) prevede altresì l’obbligo per fornitori di GPAI di redigere e rendere pubblico un sommario sufficientemente dettagliato sull’uso dei contenuti per il training algoritmico, conformemente ad un modello redatto dall’AI Office. La ratio della norma è quella di assicurare che, una volta esercitato l’opt-out, il contenuto dell’autore sia escluso dalla “pesca a strascico” degli algoritmi. Tale obbligo di trasparenza ha anche una funzione probatoria dal momento che in assenza di un simile dovere documentale sarebbe altamente complesso, se non impossibile, per il titolare dei diritti d’autore dimostrare che la propria opera è stata ingerita per migliorare i risultati delle attività di machine learning. Il fine ultimo di tale previsione sembra risiedere nell’intento di incrementare il potere contrattuale degli autori nei tavoli negoziali con i fornitori di GPAI.


Di interesse è l’eccezione prevista all’art. 53, par. 2, la quale esclude dai destinatari degli obblighi di cui sopra i fornitori di GPAI rilasciati sotto condizioni libere e aperte, a meno che non si tratti di modelli caratterizzati da rischi sistemici. In tal caso, l’interesse ad un’equa remunerazione degli autori sembrerebbe cedevole rispetto all’incoraggiamento della cd. open innovation.


Tuttavia, non è ancora detta l’ultima parola. Occorrerà attendere l’ultimo lavoro di revisione dei giuristi-linguisti e la formale approvazione del Consiglio per la definizione del quadro normativo finale che regolerà l’intelligenza artificiale nel territorio europeo.


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